I leit motiv del maestro livornese Luca Bellandi ritornano come sua ossessiva ricerca di perfezione e di completa indagine del soggetto.

I “fiori” diventano carte da parati per muri spogli, essenziali, funzionali moduli abitativi che Bellandi, come gli Art e Craft inglesi, ricattura nella sua tela, ricettacolo leggero e fluido delle suggestioni del pubblico globale.
Figurazioni floreali, che scorrono. Scorrono come nei suoi titoli “flower rain”, ossessivamente delicati e felici, nelle colorazioni che a volte hanno del “non finito”, rimaneggiano espansioni controllate di colore, che si richiudono in fiori e abiti.
Abiti che nel silenzio della loro sensualità evocano sogni lontani dal positivismo del reale. Pieghe, panneggi che ruotano, impreziositi di oro e di gioielli che fissamente girano attorno ad un asse prospettico centrale e piatto.
Nelle ultime figurazioni di Bellandi, che si rifanno ad un “japonisme” da cartolina, troviamo una leggerezza ed una sensibilità che non conosce il tempo; un altro escamotage per scorrere verso colori che sul bianco pure registrano contrasti di colore tout-court.
In queste tele compaiono le prime presenze animate; nel Bestiarum di Bellandi questi fragili volatili raccolgono la coscienza muta delle cose.
Le storie che ancora Bellandi ci vorrà raccontare sono racchiuse lì e dalle tele entrano nelle nostre coscienze a chiederci chi sono.