Mura misteriosamente sorte come da una recente preistoria; glicine che le consola; fiocchi di fiori; distendersi di erbe lasciate a sbrigliarsi in solitudine, si accomunano in questa pittura di Agostino Cancogni i a segni puntualmente ricavati da una fantasia ora tenuta a freno da una volontà che poi va determinandosi nel tratto, puntuale, attento nella rilevazione sia pur del minimo dei particolari. N’esce fuori la tela dove la natura sa vivere da “morta”; n’esce fuori il rotondo che s’incurva nel secchio, di cui non si trova il fondo, da cui nascono come per una epifania pochi tralci di fiori, se non una rosa soltanto, se non un simbolo che ravvicini l’ideale all’obbligo del tracciare un reale.
Il Cancogni è un maestro in questo giuoco dell’immagine che scopre se stessa come a sua insaputa; la sua pittura è lo specchio d’una perfezione “imperfetta”; il suo segno è il segno d’una malinconia che appieno desidera farsi felicità, farsi conoscenza; di lui pittore ogni opera reca come una carta d’identificazione; le sue tele sono il passaporto per un mondo che, a molti precluso, resta il suo segreto territorio, a cui egli ammette solo la presenza di chi **ha capito”; di chi “ha inteso”; la sua parola è là, nello sfumarsi del colore; nel rincorrersi dei chiaroscuri, che mai poi desiderano definirsi tali; preferendo nel compiere il loro cammino celarsi nei mezzi toni; restare anch’essi imprendibili. Opere il gran diletto, quelle di Agostino Cancogni; opere di grande attrazione; cariche di fascino difficilmente ritrovabile, se non si riesce ad accostarsi a quelli che sono stati gli intenti che l’hanno generate.

Cancogni è una sorta di apprendista stregone di se stesso; mago e assieme allievo di se stesso mago; fa e disfa misteriose presenze; crea architetture che paiono nate per un teatro della fantasia, ma che poi scoprirai identificarsi in un ritrovabile che sa di giornaliero. Una pittura, la sua, che piace, senza essere mai scesa a compromessi; che dà gioia senza sdarsi in complicati balletti; che vive volta a volta, rinnovandosi in ogni tela, inesauribile e sempre attenta adirti che nel domani ancora ci sarà. Finché i l mondo sarà il mondo.
Marcello Vannucci